Presidio ed elezioni provinciali..

Tanto per fare chiarezza una volta per tutte il Presidio Permanente non appoggia nessun candidato alle provinciali. In assemblea è stato deciso sia di non partecipare alla campagna elettorale sia di star fuori dalle liste o dalla formazione di una "lista No Dal Molin". Ognuno che viene al presidio individualmente è libero di andare a votare o di starsene a casa. Franzina, Equizi e Cammarata non rappresentano il presidio e la loro candidatura è frutto di una loro scelta personale. Noi come presidio non abbiamo tempo da perdere, abbiamo da organizzare assemblee nei quartieri per raccontare la vicenda della Pluto e le scoperte dei tecnici sul progetto americano, abbiamo da organizzare iniziative, la carovana della pace che passerà questa settimana e soprattutto la partecipazione di massa dei vicentini alla manifestazione nazionale del 9 giugno a Roma contro l'arrivo di Bush.Le elezioni provinciali non sono un referendum sul Dal Molin e soprattutto sono altro dalla nostra idea di partecipazione e di democrazia, che cerchiamo di praticare quotidianamente al presidio attraverso le assemblee e i momenti di confronto. Ieri sul Manifesto è stato pubblicato un articolo che tocca il tema delle elezioni provinciali e del presidio.

Amministrative A Vicenza, dove si vota per le provinciali. E si lotta contro gli «yankees»
«Le elezioni? Senza la base»
Orsola Casagrande
Vicenza

Al presidio permanente no Dal Molin sono tutti indaffarati come sempre. Cinzia Bottene, appena rientrata dagli Stati uniti ospite delle pacifiste di Codepink, annuncia che va a volantinare in piazza. Qualcuno ritaglia giornali per la rassegna stampa. Un altro prepara la sala per la serata: c'è la proiezione del film «Il popolo delle pentole» di Andrea Canova. Racconta questi quattro mesi di vita del presidio permanente. «Che poi – dice Marco Palma – quando lo abbiamo montato, il 16 gennaio, l'idea era quella di un presidio che sarebbe durato qualche giorno». Solo che il presidente del consiglio Romano Prodi ha pensato proprio in quel 16 gennaio di pronunciare il suo «editto bulgaro – prosegue Marco – con il quale dava l'ok agli americani e così la risposta più ovvia per noi è stata quella di tramutare in permanente il presidio».
Quattro mesi che hanno sconvolto Vicenza: si può parafrasare il libro di John Reed. Perché la città è stata davvero scombussolata, proiettata sotto riflettori a cui non era certo abituata. Ma la città non poteva accettare l'ennesimo sopruso. Un'altra base americana, ancora soldati. La vita scandita dai ritmi da caserma, sempre a fare attenzione a non incappare nei soldati con le facce tinte di nero che al mattino escono per le loro esercitazioni. Per i cittadini di questa paciosa e benestante città una violenza insopportabile. La risposta è stata unanime: quella base non sarebbe stata costruita. Intorno all'area del Dal Molin c'erano tanti interessi, i cittadini già pensavano ad un nuovo corso per l'aeroporto civile mai davvero decollato, e poi c'era l'idea di allargare i campi sportivi, di offrire spazi all'università. Insomma, su quell'area si progettava in grande per la città. E ora il presidente Prodi confermava agli americani ciò che aveva già detto loro Berlusconi, che potevano prendersi il Dal Molin.
Il 28 e 29 maggio qui si vota per il rinnovo del consiglio provinciale, ma la politica «ufficiale» sembra molto distante da ciò che è successo in questi mesi. Il popolo delle pentole è sceso in piazza con le uniche armi che aveva a disposizione: mestoli e coperchi, e poi tanta immaginazione, fantasia, voce. «La partecipazione della città – dice Marco – è stata e continua ad essere straordinaria. Ed è trasversale, perché coinvolge i vecchi, i giovani, le donne, gli studenti, i lavoratori, i pensionati. Tutti hanno un contributo da portare. E non si tirano indietro quanto ad idee e proposte. Il presidio – aggiunge – è riuscito a mettere in piedi le iniziative più diverse, da quando è stato montato».
In realtà la protesta contro il Dal Molin ha radici più antiche. E' per così dire «visibile» anche fuori Vicenza almeno da un anno. C'è stata la grande manifestazione del 2 dicembre e mille piccole iniziative che hanno tenuto viva l'attenzione su questo che la città ha cominciato vivendo come una violenza privata (cioè riguardante Vicenza) ma che pian piano ha elaborato come violenza collettiva. «Perché la guerra – taglia corto la pratica ed efficace Cinzia Bottene – non è un affare privato. La guerra riguarda tutti. Noi vicentini ma anche l'intero paese». E questo messaggio, no alla guerra, è stato gridato a squarciagola dai vicentini e raccolto da quei centomila che si sono riversati a Vicenza il 17 febbraio scorso. Man mano che è cresciuta la consapevolezza di una città sugli effetti devastanti è aumentata anche la sfiducia nella politica. Non l'atteggiamento anti-politico che in molti (tra i politici) hanno sottolineato, bensì una forte politicizzazione, una voglia di far politica ma in maniera diversa dalla versione stantia offerta prima dal centrodestra e poi anche dal centrosinistra. Di qui la protesta forse più clamorosa: al presidio erano state istituite apposite cassette per raccogliere le tessere elettorali delle quali i vicentini volevano disfarsi. Non perché non più interessati alla politica, ma perché schifati dal non essere stati consultati dai politici. E più ancora delusi per non essere stati ascoltati. Ricucire questo rapporto per la politica tradizionale sarà molto difficile. Chissà se lo si vedrà già nelle urne del 27-28 maggio e chissà come poi andrà tra un anno, quando si voterà per il comune di Vicenza.
Intanto al martedì, quando si riunisce l'assemblea del presidio, continuano ad esserci dalle cento alle duecento persone. Tutti hanno qualcosa da dire. Si propongono iniziative le più diverse: dalla biciclettata alla giornata degli aquiloni, dal dibattito al volantinaggio. Alle occupazioni. Simbolica e molto sostenuta dalla città è stata quella della basilica palladiana. Se il presidio è, anche per via del tendone bianco che è il simbolo della protesta contro il Dal Molin, la forma di protesta e proposta più evidente, ce ne sono ovviamente altre. In città infatti si sono mobilitati tutti contro la nuova base americana. Dai cattolici, alle associazioni, dalla rete Lilliput a gruppi politici, al centro sociale. Ci sono gruppi spontanei di cittadini che si ritrovano nei quartieri, ci sono le famiglie cattoliche per la pace.
Delle elezioni provinciali alle porte si è discusso qualche settimana fa al presidio. «La decisione – dice Marco – è stata quella di stare fuori sia dalla campagna elettorale che dalle liste. Poi ognuno deciderà se vuole andare a votare o meno». Una posizione che riflette la delusione di tanti vicentini nei confronti della politica tradizionale. I parlamentari locali del centrosinistra al governo si erano autosospesi per protestare contro la non volontà di ascoltare i cittadini dimostrata dai vertici romani dei partiti. A livello locale l'Unione si è spaccata e infatti alle provinciali arriva con due candidati. Pietro Collareda, sostenuto da Ulivo, socialisti e lista civica per il vicentino e lo storico Emilio Franzina, sostenuto da Rifondazione, Verdi e Comunisti italiani. Queste elezioni – dice Pierangelo Pettenò, consigliere regionale del Prc – si svolgono in un clima di grande sfiducia. Il nostro tentativo è stato quello di creare un'alleanza da cui ripartire per continuare a portare il nostro no al Dal Molin a livello nazionale». A sinistra è in campo anche la candidata di Alternativa comunista, impegnata nella battaglia contro la base Usa.

 

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