Ha ragione il ministro Parisi a definire "paradossale" la situazione determinatasi con il voto al senato in merito alla costruzione di una nuova base militare statunitense a Vicenza. Lo stesso ministro dovrebbe, allo stesso tempo, fare pubblica ammenda sull’incredibile (e per molti aspetti farsesca) gestione della vicenda, coadiuvato dal ministro D’Alema e dal premier Romano Prodi.
Se la costruzione di questa nuova struttura militare (altro che semplice ampliamento, come da qualcuno sostenuto) non fosse una questione maledettamente seria, verrebbe sinceramente da ridere. Ancor più leggendo molti interventi di autorevoli commentatori politici, molti magari con simpatie verso il centrosinistra che, pur di giustificare l’atto d’imperio voluto dai due ministri sopracitati e dal premier, dipingono i contrari alla base come struggenti (e rompiscatole) nostalgici di un ideologico antiamericanismo. Penso sia necessario rimettere ordine all’intera vicenda, per meglio capirla, e per capire i contenuti di una mobilitazione mai registrata prima d’ora a Vicenza.
Il primo elemento da considerare è la profonda crisi di rappresentanza venutasi a determinare nella vicenda Dal Molin, che coinvolge entrambi gli schieramenti. Infatti, da un lato vi è stato un comportamento al limite dell’omertoso del precedente governo Berlusconi e del suo sodale in terra berica, il sindaco Enrico Hullweck, che per due anni hanno volutamente e tenacemente nascosto alla città intera quanto invece si stava progettando; dall’altro il centrosinistra di governo ha completamente disatteso le aspettative di quanti lo avevano eletto (e a Vicenza non solo) nel segno di una discontinuità netta rispetto al precedente esecutivo. Una gestione imbarazzante, quella dei ministri competenti del governo Prodi.
Per chi la conosce, Vicenza tutto può apparire fuorchè una città a maggioranza "radical", anzi. La città è governata da due mandati dalla CdL, con un’oggettiva difficoltà politica del centrosinistra. Viene da sorridere quando i commentatori a cui accennavo prima dipingono il fronte del No alla base, composto da migliaia di persone, come dimostrato dalle straordinarie mobilitazioni degli ultimi mesi, come una frangia d’estremisti. Significa non conoscere Vicenza, significa non conoscere e/o non volere comprendere la sua composizione sociale e culturale. Parlare di cose che non si conoscono è già un pessimo metodo. Questo sì è esercizio ideologico puro e semplice.
In una città in cui tutti i rappresentanti (inascoltati) politici dell’Unione (non solo la cosiddetta sinistra radicale) sono schierati da mesi (chi più convintamente, chi più timidamente) contro la nuova base, si è formato un inedito fronte contrario formato da cittadini, di ogni orientamento politico e di diversa estrazione sociale, accomunati da una battaglia in difesa del territorio, dei beni comuni e della comunità locale, per non far diventare Vicenza avamposto logistico della guerra infinità dell’amministrazione Bush, quella stessa fallimentare strategia politica che, a parole, non è condivisa dal governo unionista, ma che sembra trovare (altro paradosso) più favori a Roma che negli stessi Stati Uniti. E’ ridicolo dichiararsi contro questa scellerata e fallimentare opzione politica per poi invece destinare il proprio territorio a supporto della stessa. Così come ridicola è stata la gestione della scelta, con Romano Prodi che la derubrica a semplice "questione urbanistica" (chissà se la considera ancora tale), giustificandosi con l’impossibilità di respingere accordi vincolanti già sottoscritti, che poi si scopre non esistere, investendo della responsabilità finale l’attuale esecutivo, in preoccupante sintonia e continuità con il precedente governo.
Sul piano politico la decisione di Prodi ha prodotto un effetto dirompente, capace di scavare un fossato enorme tra cittadini e rappresentanza politica, costringendo molti esponenti politici locali del centrosinistra a criticare forma e sostanza della scelta pro-base del governo.
L’intero stato maggiore della Margherita autosospesosi, idem i 2/3 della segreteria provinciale dei Ds, altrettanto molti esponenti dei Verdi. Il vicepresidente del Consiglio Regionale, oltre che ex-sindaco di Vicenza, il margheritino Achille Variati (tutto fuorchè un estremista) che, sulle pagine dei quotidiani locali, definisce senza mezzi termini "una vergogna" il via libera governativo. Il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, illustre esponente della Margherita che, nel definire completamente sbagliata la scelta governativa, definisce il comportamento di Prodi "napoleonico". E nulla c’entra un altrettanto spesso richiamata "sindrome Nimby".
In tutta questa vicenda si percepisce l’incapacità del centrosinistra nazionale di decodificare i fenomeni sociali e politici che attraversano da anni il nordest, l’inadeguatezza di un ceto politico a trovare avanzate chiavi di lettura, capaci di rispondere in forma innovativa alle esigenze, alle irrequietezze e ai conflitti prodotti in questi territori. Altro che federalismo, qui abbiamo assistito al peggior esempio di centralismo burocratico e odioso, che trova poi sponda, come la mozione Calderoli ci ricorda, in quelli che gridavano sovente "paroni a casa nostra".
Su queste macerie si è invece formata una nuova sensibilità comune, che rivendica un protagonismo diretto nelle scelte fondamentali che riguardano l’intera comunità; una domanda forte di democrazia sostanziale, laddove la democrazia formale ha prodotto i disastri di cui sopra.
Quella per cui abbiamo deciso di mobilitarci è una questione che allude alla vita in generale, è una battaglia fortemente biopolitica. Come potrebbe essere altrimenti quando le questioni sul tappeto riguardano il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno? Non a caso uno dei tratti identitari di questo movimento è l’altissima partecipazione delle donne, delle madri, che vedono questa come una battaglia fatta soprattutto per i propri figli e per il loro avvenire, donne che qualcuno vorrebbe liquidare volgarmente come esempi di casalinghe frustrate e insoddisfatte.
Cittadini che chiedono innanzitutto il rispetto (udite udite) del patto stretto tra gli eletti e gli elettori, sancito nel programma dell’Unione. Ovvio che l’elettore, nel registrare una continuità politica tra il precedente e l’attuale governo, non possa che dichiararsi deluso e non rappresentato, cercando altre forme di protagonismo e partecipazione, altrimenti negata.
Come ricordava giustamente Gian Antonio Stella dalle pagine del Corriere della Sera, l’attuale maggioranza, allora opposizione, criticò aspramente la prova di forza del governo Berlusconi, quando la polizia attaccò violentemente la comunità della Valsusa per imporre i lavori della Tav. I vari Prodi, D’Alema e Fassino allora gridarono allo scandalo, attaccarono il metodo d’imporre con la forza, senza nessun dialogo e nessun ascolto, scelte e opere alle comunità locali. Esattamente quanto sta avvenendo ora, a parti invertite, a Vicenza.
In tutti questi mesi mai nessun ministro o esponente governativo è mai venuto a Vicenza a confrontarsi con la popolazione, a discutere con essa, rimettendo al centro dell’agire politico l’interesse collettivo e non particolare. Prodi e Parisi dicono: "non possiamo tornare indietro, c’è un ordine del giorno votato dal comune di Vicenza" (quello che ha sempre tenuto nascosta la faccenda, per intenderci). A parte il fatto che sembra perlomeno incredibile che un’amministrazione locale possa determinare scelte di questa portata, ma anche ammesso e non concesso questo, che dire ad esempio della scelta del governo di andare avanti coi lavori del Mose a Venezia, nonostante la contrarietà espressa, con voto del consiglio comunale, dall’amministrazione locale veneziana? Almeno evitino di prenderci in giro, la gente non è mica stupida.
Vorrei riportare alcuni, significativi passaggi del programma dell’Unione: "Un sistema istituzionale deve garantire, insieme, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, l’effettiva rappresentatività delle istituzioni che prendono le decisioni fondamentali per la vita associata, l’efficacia dell’azione di governo per la tutela dei diritti dei cittadini e per la realizzazione del programma sul quale ha ottenuto il consenso e l’adesione della maggioranza degli elettori." Ancora "il centrodestra non è riuscito ad assicurare, negli anni in cui è stato al governo, nessuno di questi tre elementi fondamentali. La partecipazione dei cittadini è stata ridotta negli spazi e nei modi…" e prosegue "Crediamo invece che partecipazione, rappresentanza e governabilità siano valori da preservare e garantire. Puntiamo ad ampliare ed arricchire le occasioni di partecipazione… Dovremo attivare anche strumenti nuovi che rispondano alla diffusa esigenza di partecipazione, dimostrata dal successo delle Primarie dell’Unione. Moltiplicheremo le occasioni di consultazione, promuovendo la partecipazione dei giovani e favorendo la formazione di un’opinione pubblica informata." Dulcis in fundo "Incentiveremo e diffonderemo le esperienze di democrazia partecipata a livello locale, favorendo il dialogo tra le istituzioni e i soggetti della società civile." Vi sembra che la vicenda della nuova base Usa a Vicenza risponda a questi proclami? Vi sembra rispettato il patto con chi ha permesso all’Unione, grazie al proprio voto (perché, ricordiamolo sempre, maggioranza, governo e opposizione non si trovano lì per volontà divina), di prendere in mano le redini di questo paese dopo i disastri berlusconiani? O sono i vicentini, che scopro solo ora essere notorie tribù ribelli del Nordest, che sbagliano e non riescono a sottomettersi ad una non compresa ragion di stato? Vorrei poter porre queste domande, se un ministro avesse la decenza di venire a Vicenza.
Abbiamo imparato da altre esperienze che quando è una comunità che rivendica e agisce forme dirette di partecipazione, di decisione dal basso, le battaglie, anche le più difficili, non sono mai chiuse e perse. Abbiamo visto, in questa vicenda, le forme di rappresentanza classiche dimostrare il peggio di sé, attuando e rivendicando una inaccettabile separatezza dal paese reale, dal sentire delle comunità, di chi vive nei territori, tentando d’imporre, manu militari, opere devastanti, non volute dalla popolazione, la cui voce sembra non contare nulla nei luoghi della decisionalità.
Per questi motivi bisogna continuare nelle mobilitazioni, con convinzione e fantasia, inventandosi quotidianamente forme innovative di linguaggio e di pratica, capaci di allargare ulteriormente il consenso e la condivisione, mantenendo l’unitarietà di questo movimento nel rispetto delle sue differenze. Per quanto mi riguarda, continuo assieme a questa straordinaria comunità, che ha deciso di non richiudersi in una muta rassegnazione continuando invece a mobilitarsi, a lottare per impedire questo scempio. Questo è il contributo che, come cittadino innanzitutto, voglio portare all’interno della grande manifestazione del 17 febbraio.
Olol Jackson